A cura di:
Dott.ssa Lucia Muraca
Referente AISD – Associazione Italiana Studio Dolore – CALABRIA
Referente terapia del dolore e cure palliative SIMG – Società Italiana Medicina Generale – CALABRIA
Componente Del Gruppo Di Studio Nazionale Della SIMG Area Fragilità
Componente Commissione Di Medicina Di Genere Ordine Dei Medici Di Catanzaro

Ogni giorno, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, sono milioni le donne che soffrono di dolore cronico (1).

Chiunque può essere affetto da dolore, acuto o cronico, senza distinzione di età, sesso, razza, livello economico (2): potremmo definire il dolore come un problema di salute globale. Il dolore, in particolare quello cronico, presenta differenze significative tra i due sessi dal punto di vista epidemiologico, rispetto alle risposte ai trattamenti, all’uso dei farmaci analgesici ed al potenziale aumento del rischio degli effetti collaterali indesiderati (3). Numerosi studi fanno emergere come il dolore continui a essere un problema di salute pubblica a tutt’oggi non adeguatamente valutato e sotto trattato, anche in relazione al sesso del paziente e ad altre variabili, quali razza, etnia, età (3). Per questo la medicina di genere ormai è diventata una sfida del Servizio Sanitario Nazionale ed un imperativo clinico per gli operatori del settore. L’importanza di un approccio di genere è diventata una esigenza per il clinico, un cambio culturale e di prospettiva che renda la valutazione delle variabili biologiche, ambientali e sociali (dalle quali possono dipendere le differenze dello stato di salute tra i due sessi) una pratica ordinaria. L’obiettivo è di migliorare l’appropriatezza degli interventi di prevenzione e di cura, e di contribuire a rafforzare la “centralità del paziente” e la “personalizzazione della terapia”, intervenendo soprattutto in quelle zone d’ombra tanto nell’uomo quanto nella donna.
I termini L’obiettivo è e genere non sono sinonimi né tantomeno intercambiabili. Il sesso esprime l’identità biologica oggettiva di una persona, legata alla presenza delle differenze cromosomiche che produce diversificazioni a livello sia cellulare che molecolare (anatomiche, fisiologiche, biologiche e ormonali), permettendo una classificazione dell’individuo in MASCHIO o FEMMINA. Il genere è un concetto SOCIALE definito da aspetti ambientali, culturali, sociali e comportamentali che una società considera specifici per l’uomo e per la donna. Lo stato di salute e di malattia di un soggetto può essere influenzato da entrambi (4,5).

Quali forme di dolore cronico colpiscono maggiormente le donne?

Fibromialgia, sindrome dell’intestino irritabile (IBS), cefalea, artrite reumatoide e osteoartrite sono alcune delle condizioni dolorose caratterizzate da una maggiore prevalenza femminile (1).
Circa l’80-90% delle persone che ricevono una diagnosi di fibromialgia sono donne (1).

Perché ad esserne più colpite sono le donne?

Sorge spontaneo chiedersi il motivo e non è semplice rispondere considerando gli svariati fattori da prendere in esame (6).
Prima di tutto, differenze genetiche, anatomiche e ormonali differenziano i meccanismi biologici del dolore nel corso della vita degli uomini e delle donne (6). Anche dal punto di vista psicologico e sociale, le differenze sono rilevanti (6). Basti pensare al ruolo di ansia e depressione nella percezione del dolore, condizioni per cui il sesso femminile è molto più vulnerabile; alle diverse risposte che uomini e donne tendono a dare in condizioni di stress (quelle che scientificamente vengono chiamate strategie di coping); al diverso ruolo che la società assegna a ogni individuo proprio sulla base del proprio sesso biologico (6,7).
Inoltre, uno studio pubblicato sul Journal of Pain ha dimostrato come il dolore femminile non venga preso seriamente tanto quanto quello maschile (8). Infatti, a parità di dolore, quello femminile tende ad essere percepito come meno intenso (8).

In letteratura, innumerevoli ricercatori hanno studiato e descritto le differenze biologiche e psicologiche tra i due sessi. L’influenza ormonale delle gonadi sulle differenze sessuali è di grande interesse e supportata da diversi studi; alcuni di questi descrivono un ruolo possibile legato alla differenza ormonale tra i due sessi. Gli estro-progestinici e gli androgeni possono modulare il sistema nervoso relativamente al dolore ed all’analgesia (9,10,11). Il quadro che emerge suggerisce che le basi biologiche di queste differenze nella percezione del dolore risiedono nella regolamentazione dell’attività degli estrogeni e del progesterone sul Sistema Nervoso Centrale e nella risposta comportamentale per gli stimoli infiammatori persistenti nel dolore cronico. Una revisione della letteratura mostra che la tolleranza, la sensitività e la soglia del dolore nelle donne è variabile in base al ciclo mestruale (12,13). In un articolo di Amber Dance, pubblicato su Nature sono stati riportati vari studi sul dolore, condotti sugli animali, che hanno raccolto prove sempre più convincenti che le vie nervose del dolore sono diverse tra maschi e femmine e coinvolgono, tra l’altro, ormoni e cellule immunitarie (14). Questo assunto rende ragione del fatto che le malattie infiammatorie e autoimmuni raddoppiano o addirittura triplicano nel sesso femminile, per l’effetto degli ormoni sessuali sulle cellule che regolano le difese immunitarie. In particolare, la fluttuazione degli estrogeni, nel corso del ciclo mestruale, stimola la liberazione di sostanze infiammatorie nei tessuti, con aumento dell’infiammazione e del dolore ad essa correlato. Quanto più la sofferenza persiste, tanto più aumentano i cambiamenti nel Sistema Nervoso Centrale, per cui il dolore si fa sempre più autonomo rispetto all’infiammazione e diventa dolore-malattia. Le differenze tra i sessi sono correlate ai neurotrasmettitori e ai loro recettori, come quelli dell’adenosina, dei cannabinoidi mimetici (15), all’espressione delle citochine (16), i canali del K+ (ione potassio) e molti altri. Interessanti studi descrivono un importante ruolo delle cellule gliali del midollo spinale, le quali sarebbero intrinsecamente coinvolte nelle vie di segnalazione cellula-cellula che producono dolore cronico (17). Si è arrivati ad ipotizzare che degli effetti genetici diretti sono possibili. Il dolore, infatti, potrebbe essere influenzato dai geni presenti sul cromosoma Y, da inattivazione dei geni X-linked, impressi nelle forme alleliche (18). Inoltre, sono state trovate differenze tra i sessi all’interno del citocromo P450, famiglia di enzimi coinvolti nel metabolismo sia dei farmaci, sia delle sostanze endogene (19). Innumerevoli studi in laboratorio su donne e uomini sani sono stati condotti per valutare le differenze legate al sesso relativamente alla percezione del dolore, ma nessuna conclusione coerente può essere fatta in quanto, sebbene il fenomeno venga descritto rispetto alle differenze tra i due sessi circa la sensibilità al dolore, non sono ancora ben chiari quali siano i meccanismi in grado di spiegare queste differenze in ambito clinico (20). Per quanto riguarda alcuni studi realizzati mettendo in rapporto dolore e identità di genere, è emerso che gli uomini che si identificavano col genere maschile avevano una maggiore tolleranza allo stimolo doloroso rispetto a quelli che si identificavano col genere femminile. Non vi erano differenze tra bassa identificazione di genere tra uomini e donne (21). Oltre alla variabile sesso, si può considerare interessante il ruolo sociale del genere, che potrebbe spiegare i motivi per cui sussistano differenze tra maschi e femmine nel rapporto tra stato d’animo/umore e relativa disabilità nel dolore. Nelle femmine, infatti, vi è una maggiore convinzione che esiste un legame fra sintomi di depressione e dolore e generalmente non sono accettati nella stessa maniera dal sesso maschile. Tale differenza di ruoli di genere può anche avere un impatto sulla condotta degli operatori sanitari circa il trattamento fornito ai due sessi, con una maggiore disponibilità a prescrivere farmaci antidepressivi alle donne, rafforzando così il legame tra depressione e dolore nel sesso femminile (22). Dal punto di vista epidemiologico, è interessante notare come la differenza sociale dell’uomo e della donna può influenzare la percezione del dolore tra i due sessi, in particolare quando il ruolo sociale ed occupazionale sono diversi e possono influenzare non solo la percezione, ma anche il mantenimento di una sintomatologia dolorosa (23,24).

Una differenza che merita di essere riconosciuta

Gli uomini e le donne sono diversi, si sa, ma ad oggi non esistono opzioni terapeutiche per la gestione del dolore cronico sviluppate specificamente per le donne o per gli uomini (25). Questa differenza merita di essere approfondita e valorizzata, per indagare analogie e differenze in termini di meccanismo, percezione e gestione del dolore evitando così che il dolore venga gestito in modo non corretto o in ritardo (2).

La community di Dimensione Sollievo e l’impegno di Grünenthal

Il rapporto della donna con il dolore cronico è ben rappresentato nella nostra community che, oltre a vantare una netta prevalenza femminile (più dell’80%), rivela alcune criticità relative alla gestione di questa condizione. In una società moderna, che cerca di mettere allo stesso livello i due sessi in diversi ambiti come nel mondo del lavoro, nella tutela dei diritti e nella vita sociale delle persone, le differenze sessuali e di genere sono elementi che caratterizzano le persone e che definiscono sfere di diversità sia di espressione biologica (sesso), sia di riconoscimento sociale (genere). Tali aspetti non possono essere sottovalutati da coloro che si offrono professionalmente a tutela e garanzia del diritto alla salute. Sesso e genere sono elementi che rientrano nell’assistenza globale alla persona, in cui aspetti biologici, vissuto personale e percezione del sé, possono notevolmente cambiare l’orientamento sia valutativo del dolore sia dei suoi trattamenti e dove la standardizzazione degli approcci terapeutici non può essere l’unica soluzione terapeutica. In questa visione, il rispetto della diversità biologica e di genere possono costituire un nuovo modello orientato ad ogni singolo cittadino.
C’è ancora molto da fare e, proprio per questo, Grünenthal si impegna nel quotidiano ponendo il sollievo come obiettivo della sua ricerca.

  1. https://www.iasp-pain.org/advocacy/global-year/pain-in-women/
  2. D’Arcy Y. Chronic pain management. An evidence-based approach for nurses. Springer Publishing Company; 2011.
  3. International for the Study of Pain. Gender Differences in Responses to Medication and Side Effects of Medication. Pain Clinical Updates, Volume XVI, Issue 5 July 2008.
  4. Robinson ME, Wise EA. Gender bias in the observation of experimental pain. Pain 2003; 104:259–64.
  5. Horgas AL, Elliott AF. Pain assessment and management in persons with dementia. Nurs Clin North Am 2004; 39:593–60.
  6. https://www.iasp-pain.org/wp-content/uploads/2022/10/PainDifferences-English_References.pdf
  7. https://www.epicentro.iss.it/mentale/donne_Oms
  8. https://www.sciencedaily.com/releases/2021/04/210406164124.htm
  9. Manson JE. Pain: sex differences and implications for treatment. Metabolism Clinical and Experimental, 2010; 59: S16–S20, Supplement 1.
  10. Kuba T, Quinones-Jenab V. The role of female gonadal hormones in behavioral sex differences in persistent and chronic pain: clinical versus preclinical studies. Brain Res Bull 2005; 66:179–88.
  11. Stoffel EC, Ulibarri CM, Craft RM. Gonadal steroid hormone modulation of nociception, morphine antinociception and reproductive indices in male and female rats. Pain 2003; 103:285–302.
  12. Becker JB, Arnold AP, Berkley KJ, Blaustein JD, Eckel LA, Hampson E, Herman JP, Marts S, Sade W, Steiner M, Taylor J, Young E. Strategies and methods for research on sex differences in brain and behavior. Endocrinology, 2005; 146:1650-1673.
  13. Greenspan JD, Craft RM, LeResche L, Arendt-Nielsen L, Berkley KJ, Fillingim RB, Gold MS, Holdcroft A, Lautenbacher S, Mayer EA, Mogil JS, Murphy AZ, Traub RJ, the Consensus Working Group of the Sex, Gender, and Pain SIG of the IASP.
  14. Dance A. Why the sexes don’t feel pain the same way. Nature. 2019 Mar;567(7749):448-450. doi: 10.1038/d41586-019-00895-3. PMID: 30918396.
  15. Becker JB, Arnold AP, Berkley KJ, Blaustein JD, Eckel LA, Hampson E, Herman JP, Marts S, Sade W, Steiner M, Taylor J, Young E. Strategies and methods for research on sex differences in brain and behavior. Endocrinology, 2005; 146:1650-1673
  16. Greenspan JD, Craft RM, LeResche L, Arendt-Nielsen L, Berkley KJ, Fillingim RB, Gold MS, Holdcroft A, Lautenbacher S, Mayer EA, Mogil JS, Murphy AZ, Traub RJ, the Consensus Working Group of the Sex, Gender, and Pain SIG of the IASP.
  17. Mapplebeck JCS, Beggs S, Salter MW. Sex differences in pain: a tale of two immune cells. Pain. 2016 Feb;157 Suppl 1: S2-S6. doi: 10.1097/j.pain.0000000000000389. PMID: 26785152.
  18. Arnold AP, Chen X. What does the four core genotypes” mouse model tell us about sex differences in the brain and other tissues? Front Neuroendocrinol. 2008; 30: 1–9.
  19. Cotreau MM, von Moltke LL, Greenblatt DL. The influence of age and sex on the clearance of cytochrome P450 3A substrates. Clin Pharmacokinet 2005; 44:33–60.
  20. Racine M, Tousignant-Laflamme Y, Kloda LA, Dion D, Dupuis G, Choinière M. A systematic literature review of 10 years of research on sex/gender and experimental pain perception. Part 1: Are there really differences between women and men? Pain, 2012; 153: 602–618.
  21. Torres-Chávez KE, Fischer L, Teixeira JM, Fávaro-Moreira NC, Obando-Pereda GA, Parada CA, Tambeli CH. Sexual dimorphism on cytokines expression in the temporomandibular joint: the role of gonadal steroid hormones. Inflammation, Oct 2011; 34(5):487-98.
  22. Keogh E, McCracken LM, Eccleston C. Gender moderates the association between depression and disability in chronic pain patients. European Journal of Pain 2006; 10: 413–422.
  23. LeResche L. Gender consideration in the epidemiology of chronic pain. In Epidemiology of pain. Edited Crombie IK, IASP Press, Seattle, 1999.
  24. Rustøen T,Wahl AK,Hanestad BR, Lerdal A, Pau S, Miaskowski C.Gender Differences in Chronic Pain—Findings from a Population-Based Study of Norwegian Adults. Pain Management Nursing, 2004;5 (3): 105-117.
  25. Casale R, et al. Pain in Women: A Perspective Review on a Relevant Clinical Issue that Deserves Prioritization. Pain Ther. 2021 Jun;10(1):287-314.

Il dolore cronico è una vera e propria malattia, non solo un sintomo.

Come ogni altra malattia merita una diagnosi e un trattamento, che siano corretti e tempestivi. 1
Il fattore tempo è fondamentale perché un ritardo nella diagnosi e nell’avvio del trattamento, riduce l’efficacia
e il successo della terapia stessa. 1
Così come fondamentale è l’approccio multi-specialistico, perché questa malattia, oltre ad influenzare
la componente fisica e motoria della persona che ne soffre, impatta anche l’aspetto psicologico, affettivo e sociale. 1
Una delle principali cause di questa gestione ritardata e non sempre idonea si identifica nella scarsa conoscenza
dei percorsi e delle prestazioni effettuati dalla rete di terapia del dolore e della legge 38 del 2010. 1

La legge 38

Una legge che sancisce il diritto alla tutela della dignità delle persone che soffrono e all’accesso alle cure palliative
e alla terapia del dolore. 2
Una legge che cerca di risolvere il problema culturale, radicato per secoli, nella popolazione generale e negli addetti ai lavori, di considerare la sofferenza come un aspetto inevitabile di un percorso di malattia. 2,3
Una legge che sta molto a cuore a Grünenthal, che per questo cerca di diffonderla e di aumentare
la consapevolezza che il dolore vada affrontato con serietà e sistematicità in tutte le sue fasi e in tutte le strutture assistenziali. 2

Cosa si intende con terapia del dolore?

La terapia del dolore viene definita dalla Legge 38 come “L’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti
a individuare e applicare, alle forme morbose croniche, idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore” (art. 2, comma 1, lettera b). 2

 

Dove viene eseguita la terapia del dolore?

La Legge 38 ha previsto lo sviluppo della Rete di Terapia del Dolore (prevista anche dal DPCM 12 gennaio 2017
di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza). 4
Questa Rete ha l’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle persone che convivono con il dolore,
cercando di ridurne l’impatto sulla vita quotidiana, da un punto di vista funzionale, sociale e lavorativo. 4
Al fine di raggiungere questo scopo, sono previste attività che vengono erogate sia a livello ospedaliero
(dove sono attivi due setting di cura di diversa complessità denominati Hub e Spoke), sia a livello ambulatoriale, domiciliare e residenziale. 4

Dove si può trovare l’elenco dei Centri specializzati in terapia del dolore?

L’AISD, l’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore, è un’associazione professionale multidisciplinare, non-profit, che si dedica da oltre 40 anni alla ricerca sul dolore e al miglioramento dell’assistenza di chi convive con il dolore. 5
Sul sito web dell’associazione, nella sezione “Per i pazienti”, oppure cliccando sul seguente link, potrete trovare
un elenco di tutti i centri italiani, suddivisi per Regioni. 5

 

TROVA IL CENTRO PIÙ VICINO A TE

 

Un elenco in continuo aggiornamento, che non ha la pretesa di essere esaustivo, ma intende offrire
un orientamento a chi è alla ricerca di Centri specializzati in terapia del dolore. 5

Cliccando l’icona della localizzazione che trovate in alto a destra troverete una mappa interattiva che vi guiderà nella ricerca del centro specializzato in terapia del dolore più vicino a voi.

L’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore è un capitolo dell’International Association for the Study of Pain (IASP) e membro della European Pain Federation (EFIC). 5

 

IASP
L’International Association for the Study of Pain (IASP) è stata fondata nel 1974.
Un’associazione interdisciplinare e internazionale, che riunisce scienziati, clinici, operatori sanitari
e responsabili politici per stimolare e supportare lo studio del dolore e tradurre tali conoscenze
in un miglioramento della cura del dolore in tutto il mondo. 6,7

 

EFIC
La European Pain Federation (EFIC) è stata fondata nel 1993.
Un’organizzazione non-profit con un ruolo attivo nella formazione degli operatori sanitari
e nella promozione della ricerca sul dolore. 8,9

Il 15 marzo 2010, in Italia, è stata adottata la Legge 38: una legge quadro che contiene principi e disposizioni normative a tutela e garanzia di un’assistenza appropriata nell’ambito delle cure palliative e della terapia del dolore. 1
Questa legge assicura assistenza e cura nel rispetto della dignità e dell’autonomia di chi soffre di dolore, senza alcuna discriminazione; tutela e promuove la qualità della vita fino a suo termine; assicura un adeguato sostegno sanitario e socioassistenziale a chi soffre di dolore e alla sua famiglia. 2

 

Ciononostante, a dieci anni dalla sua approvazione, il 72,1% dei cittadini non conosce la L. 38/2010 e il 40% delle persone non è a conoscenza delle cure attuabili, nonostante quasi il 90% delle sindromi dolorose siano trattabili. 3 In tale contesto la SIAARTI (Società Scientifica Italiana degli Anestesisti Rianimatori e Terapisti del Dolore), con il supporto incondizionato di Grunenthal, ha stilato “Oltre il dolore. Manifesto sociale contro la sofferenza”, un documento che racchiude in sé le azioni necessarie per affermare il diritto alla terapia del dolore cronico. 4 Il Manifesto è stato condiviso, firmato e sostenuto dalle Associazioni dei cittadini, da altre Società scientifiche e dal Mondo dell’informazione così come da firme allegate a conclusione dell’articolo. 4

 

Vi invitiamo a scoprire i dieci punti, a ognuno dei quali abbiamo già dedicato un post esclusivo sulla nostra pagina Facebook.
Buona lettura!

 

 

Azioni necessarie per affermare il diritto alla terapia del dolore cronico

1. ACCESSO ALLA TERAPIA DEL DOLORE: UN DIRITTO ESIGIBILE

Le Società scientifiche e Associazioni aderenti al Manifesto sottolineano la necessità che l’accesso alla terapia del dolore cronico non oncologico sia considerato un diritto inalienabile ed esigibile dai cittadini italiani, vantaggioso per la società intera, assicurato dalla presenza di competenze specifiche dedicate, verso cui tutte le Istituzioni sanitarie ed il SSN devono essere mobilitate.4

2. UN DIRITTO DIFFUSO E OMOGENEO

Le Società scientifiche e Associazioni rilevano la necessità di una diffusione completa, continua e senza differenziazione territoriale della terapia del dolore sul territorio nazionale, seguendo i dettami delle norme di riferimento richiamate nella Premessa Fondativa. 4

3. UN DIRITTO CORRETTAMENTE DIMENSIONATO

Le Società scientifiche e Associazioni esprimono la necessità di sviluppare nel tempo dati certi di riferimento per definire il numero di centri di terapia del dolore necessari sul territorio nazionale e regionale in rapporto con il numero di abitanti, affinché sia soddisfatto il fabbisogno dei cittadini, mantenendo sempre aggiornato il censimento dei centri in rapporto. 4

4. UN DIRITTO SENZA ATTESE

Le Società scientifiche e Associazioni sottolineano la necessità di assicurare che i Centri di terapia del dolore siano pienamente operativi e funzionanti, con organici competenti e completi, ed in grado di assicurare ai cittadini l’accesso omogeneo su tutto il territorio nazionale alle terapie ed alla loro continuità, abbattendo le liste di attesa, ed assicurando un effettivo e corretto percorso di cura al paziente con dolore cronico non oncologico. 4

5. UN DIRITTO PER LE MAGGIORI FRAGILITÀ

Società scientifiche e Associazioni rilevano la necessità che le fasce più fragili della popolazione abbiano certezza di accesso garantito, tempestivo, facilitato e continuo ai centri di terapia del dolore. 4

6. UN DIRITTO ASSICURATO DA COMPETENZE MULTIDISCIPLINARI SPECIFICHE

Le Società scientifiche e Associazioni manifestano la necessità che tutte le professioni sanitarie coinvolte nella terapia del dolore siano incluse nei percorsi assistenziali garantiti ai cittadini-pazienti e ricevano una formazione di qualità, adeguata, continua. 4

7. UN DIRITTO BASATO SULLA RICERCA

Le Società scientifiche e Associazioni esprimono la necessità che la ricerca in ambito algologico possa accedere in via preferenziale a fondi speciali per lo sviluppo di farmaci innovativi, in modo analogo a ciò che viene già realizzato in altri ambiti. Inoltre, si sottolinea la necessità che anche la ricerca indipendente sia favorita e sostenuta in modo prioritario dalle Agenzie nazionali. 4

8. UN DIRITTO SUPPORTATO DALLE TECNOLOGIE DIGITALI

Le Società scientifiche e Associazioni pongono l’attenzione sulla necessità che le soluzioni a forte componente di innovazione tecnologica siano espressamente sviluppate nella gestione telemonitoraggio, teleconsulto e teleassistenza nell’ambito del dolore. 4

9. UN DIRITTO MONITORATO

Le Società scientifiche e Associazioni sottolineano la necessità che le istituzioni, le agenzie centrali e regionali, le società scientifiche in collaborazione con le Associazioni dei pazienti si dotino di strumenti per verificare con continuità e precisione lo stato di implementazione della Legge 38.2010 e degli accordi successivi nell’ambito del dolore. 4

10. UN DIRITTO COMUNICATO

Società scientifiche e Associazioni individuano ed esprimono la necessità che i media nazionali e locali, tradizionali, digitali e sociali siano coinvolti nella diffusione corretta e continua dell’informazione sulla terapia del dolore, anche grazie al coinvolgimento diretto delle Associazioni dei pazienti e delle Organizzazioni civiche dei cittadini. 4

Le sfide imposte dalla pandemia

La pandemia dettata dal COVID-19 ha indubbiamente cambiato le nostre vite. 1
Anche la medicina ha dovuto cambiare il suo approccio. 1
All’inizio, quando ancora questo virus era poco conosciuto, non esistevano approcci terapeutici standardizzati
che potessero guidare la pratica clinica dei medici. 1 Per questo, il personale e le risorse sanitarie sono state concentrate nella prevenzione della diffusione del COVID-19, il che ha rappresentato una sfida per i soggetti affetti da malattie croniche, la cui continuità di cura è stata significativamente condizionata. 2

 

Le sfide imposte dalla pandemia: il trattamento farmacologico

È imperativo che i pazienti con dolore cronico ricevano un trattamento analgesico secondo le loro specifiche esigenze. 1 I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono tra i trattamenti analgesici più comunemente utilizzati (sia pure nei limiti temporali di appropriatezza della duratadel trattamento con questi farmaci). 1
È importante sottolineare che i FANS possono mascherare i sintomi precoci del COVID-19 (febbre, dolori muscolari) e quindi possono potenzialmente portare a una diagnosi tardiva della malattia. 1 Nell’attuale strategia
di trattamento del dolore cronico vanno, inoltre, considerati anche gli oppioidi, che mantengono un ruolo importante nell’attuale strategia di trattamento del dolore, anche se alcuni di essi possono causare immunosoppressione. 1 Inoltre, alcuni oppioidi possono causare interazioni farmacologiche, ad esempio
con gli antivirali, essendo metabolizzati dagli stessi enzimi. 1
Questo non significa dover necessariamente sospendere la terapia, ma è importante essere consapevoli
che qualsiasi modifica alla programmazione e prescrizione deve avvenire solo dopo un’attenta valutazione
da parte del medico e richiede la partecipazione attiva del paziente per raggiungere il livello di cura ottimale. 1

 

Le sfide imposte dalla pandemia: la telemedicina

È noto come il dolore cronico venga riportato con maggiore frequenza da persone anziane e fragili (che vivono
una condizione in cui coesistono varie patologie, spesso croniche, che richiedono l’uso contemporaneo di diverse terapie farmacologiche, insieme a disabilità e a problematiche sociali) 3 che proprio per tali caratteristiche vanno incontro anche a un maggior rischio di sviluppare una grave infezione da COVID-19. 1
Siccome si rende indispensabile il monitoraggio continuo per la corretta gestione del dolore cronico, in un momento come questo, nasce la necessità di proteggere queste persone dal rischio di infettarsi. 1 Per farlo,
la telemedicina si è rivelata un utile strumento nella riorganizzazione della gestione del dolore cronico:
permette di ridurre al minimo le visite in ospedale, quando non strettamente necessarie e quando
non si riscontrano barriere tecnologiche, che potrebbero inficiare la attuazione di questa modalità alternativa. 1
In ogni caso, al di là della modalità, resta fondamentale una corretta comunicazione tra il medico e il paziente. 1

 

Il dolore: un sintomo del COVID-19

L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha definito la sindrome post-COVID-19, una conseguenza
del COVID-19. 4
Si presenta tre mesi dopo l’esordio sintomatico dell’infezione, può durare per almeno due mesi e non può essere spiegata con un’altra diagnosi. 4
Si stima che circa il 10% delle persone che sono state infettate dal virus l’hanno sviluppata, avvertendo stanchezza, fiato corto, alterazioni delle funzionalità cognitive e, in generale, hanno riportato un sensibile impatto sulla vita quotidiana. 4
Il dolore è stato definito come un ulteriore sintomo causato da tale sindrome, che può presentarsi in forma localizzata, per lo più a livello di testa, petto, schiena e arti, oppure in forma migrante. 4
Sembrerebbe che alcune persone, pur non presentando patologie prima dell’infezione, abbiano sviluppato sintomi dolorosi a seguito di quest’ultima, seppure in forma moderata. 4
Così come sembrerebbe maggiore la frequenza di dolore diffuso e fibromialgia in chi soffriva di altre patologie prima dell’infezione. 4

Ma quale potrebbe essere il nesso che lega il COVID-19 e il dolore cronico?

Il dolore cronico: 5

  • potrebbe rappresentare un sintomo della sindrome post-COVID-19 o il risultato di un danno d’organo generato proprio durante l’infezione
  • potrebbe essere la conseguenza del peggioramento di una condizione di dolore cronico preesistente
  • potrebbe essere causato non dall’infezione in sé, ma dalle condizioni di vita imposte dalla pandemia che hanno esacerbato alcuni fattori di rischio (ridotta qualità del sonno, inattività, paura, ansia, depressione)

Il dolore cronico può essere innescato da fattori stressanti di natura psicosociale, oltre che biologici, prediligendo quelle persone che hanno maggiori difficoltà a gestire e reagire allo stress. 5
Questo spiega perché la pandemia ha in sé il potenziale di aumentare l’incidenza del dolore cronico, non solo
in chi si ammala in prima persona, ma anche nell’intera comunità che deve fare i conti con gli effetti economici, psicologici e sociali. 5
Nell’ipotesi di una reale correlazione tra sindrome post-COVID-19 e dolore, occorre prestare attenzione
alla gestione del dolore nei soggetti fragili per evitare di sottovalutare un possibile fattore di rischio
di cronicizzazione. 4

  1. Marinangeli F, Giarratano A, Petrini F. Chronic pain and COVID-19: pathophysiological, clinical and organizational issues. Minerva Anestesiol. 2021;87(7):828-832.
  2. Natoli S, et al. Should we be concerned when COVID-19-positive patients take opioids to control their pain? Insights from a pharmacological point of view. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2021;25(14):4854-4867.
  3. https://www.fsm.it/il-paziente-fragile/
  4. Bileviciute-Ljungar I, Norrefalk JR, Borg K. Pain Burden in Post-COVID-19 Syndrome following Mild COVID-19 Infection. J Clin Med. 2022;11(3):771.
  5. Clauw DJ, Häuser W, Cohen SP, Fitzcharles MA. Considering the potential for an increase in chronic pain after the COVID-19 pandemic. Pain. 2020;161(8):1694-1697.

Che differenza c’è tra dolore acuto e cronico?

Il dolore, come sappiamo, può essere distinto in acuto e cronico. 1
Il dolore acuto ha una durata limitata, seppur con diversi gradi di intensità e solitamente si manifesta in risposta
ad un danno (trauma, ustione etc.), al fine di proteggere il nostro organismo. 1 Questo aspetto positivo del dolore viene meno qualora la percezione dolorosa persista anche dopo che lo stimolo lesivo è cessato ed è stato completato il processo di guarigione. In tali condizioni si parla di colore cronico. 1
Si potrebbe pensare che la differenza tra i due tipi di dolore sia dovuta solo alla loro durata ma così non è,
perché sono caratterizzati da processi differenti, non solo in termini temporali. 1

La transizione del dolore: da acuto a cronico

È stato dimostrato che il dolore acuto può trasformarsi in dolore cronico a seguito di una sensibilizzazione
del sistema nervoso centrale (sensibilizzazione centrale) e periferico (sensibilizzazione periferica). 1
Ma cosa si intende per sensibilizzazione?
L’associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP) la definisce come un’aumentata sensibilità dei neuroni nocicettivi (deputati alla percezione dello stimolo doloroso) a un normale stimolo esterno e/o una risposta
a normali stimoli sottosoglia. 2 Nel caso della sensibilizzazione centrale, sono i neuroni nocicettivi presenti
nel sistema nervoso centrale ad essere più reattivi, mentre in quella periferica lo sono i nocicettori periferici. 1
Ciò significa che gli elementi del nostro organismo che hanno il compito di generare una sensazione dolorosa
in presenza di un danno reale o ipotetico ci fanno percepire come doloroso uno stimolo che in realtà è innocuo. 3

Quali sono i fattori che favoriscono la cronicizzazione?

Il dolore ha la capacità di persistere e cronicizzare in un’ampia varietà di condizioni patologiche, come in caso
di danni che generano uno stato infiammatorio continuo e di lunga durata; una lesione ai nervi a seguito
di un trauma; una disfunzione metabolica; un’infezione o la crescita di una massa tumorale. 4
In tutte queste condizioni, se è vero che ci sono fattori fisici e chimici che agiscono in maniera indipendente,
è altrettanto vero che ad essi si aggiungono fattori di natura psicologica e sociale, che possono più o meno favorire la transizione del dolore da acuto a cronico. 4
Questo perché il dolore è una condizione complessa e composta da diverse dimensioni: quella sensoriale,
quella emotiva e quella cognitiva. 5

Quali sono i fattori che favoriscono la cronicizzazione?

Il dolore ha la capacità di persistere e cronicizzare in un’ampia varietà di condizioni patologiche, come in caso
di danni che generano uno stato infiammatorio continuo e di lunga durata; una lesione ai nervi a seguito
di un trauma; una disfunzione metabolica; un’infezione o la crescita di una massa tumorale. 4
In tutte queste condizioni, se è vero che ci sono fattori fisici e chimici che agiscono in maniera indipendente,
è altrettanto vero che ad essi si aggiungono fattori di natura psicologica e sociale, che possono più o meno favorire la transizione del dolore da acuto a cronico. 4
Questo perché il dolore è una condizione complessa e composta da diverse dimensioni: quella sensoriale,
quella emotiva e quella cognitiva. 5

  • La dimensione sensoriale definisce il modo in cui percepiamo gli stimoli dolorosi e la nostra capacità di renderci conto di provare dolore; 5
  • La dimensione emotiva risponde alla domanda “come ci fa sentire il dolore?”; 5
  • La dimensione cognitiva stabilisce come interpretiamo il dolore e come rispondiamo allo stimolo doloroso. 5

Un esempio emblematico di cronicizzazione del dolore cronico è quello del mal di schiena. 6

Parliamo, quindi, di mal di schiena cronico…

La lombalgia, ovvero il dolore alla schiena che interessa la zona lombare, può distinguersi in acuta o cronica
e può trasformarsi da una condizione all’altra. 6
L’essere sovrappeso, avere l’abitudine al fumo, avvertire dolore anche alle gambe, avere già precedenti disabilità
e aver ricevuto una diagnosi di ansia o depressione sono tutti fattori di rischio che potrebbero condurre
alla cronicizzazione del dolore alla schiena. 6

…e del dolore post-operatorio

L’evoluzione del dolore da acuto a cronico è particolarmente comune a seguito di vari interventi chirurgici. 7
La genetica spiega, in parte, come mai alcune persone siano più suscettibili al dolore e più soggette alla cronicizzazione. 7 Alla genetica si aggiungono anche il genere e l’età, in quanto le donne e i giovani sembrano essere più predisposti. 3
Dal punto di vista psicologico, le emozioni negative, come la paura di essere operati e di provare dolore, oltre
ad alcune condizioni quali depressione, nevrosi, disturbi da stress post traumatico e traumi passati, sembrerebbero essere maggiormente predisponenti. 7
La presenza di dolore prima di essere sottoposti all’intervento può essere un ulteriore fattore di rischio
per la cronicizzazione. 7 E, in aggiunta, vanno citati fattori legati all’operazione in sé, come la durata e la modalità dell’intervento, la terapia e anche possibili disturbi del sonno in fase post-operatoria. 3

Al di là di quale sia la regione del nostro corpo colpita dalla sintomatologia dolorosa, riuscire a prevenire
la cronicizzazione è molto importante perché significa migliorare la qualità della vita delle persone. 7

 

  1. Mauceri D. Role of Epigenetic Mechanisms in Chronic Pain. Cells. 2022;11(16):2613.
  2. https://www.iasp-pain.org/resources/terminology/
  3. Blichfeldt-Eckhardt MR. From acute to chronic postsurgical pain: the significance of the acute pain response. Dan Med J. 2018;65(3):B5326.
  4. Kuner R, Kuner T. Cellular Circuits in the Brain and Their Modulation in Acute and Chronic Pain. Physiol Rev. 2021;101(1):213-258.
  5. Yang S, Chang MC. Chronic Pain: Structural and Functional Changes in Brain Structures and Associated Negative Affective States. Int J Mol Sci. 2019;20(13):3130.
  6. Stevans JM, Delitto A, Khoja SS, et al. Risk Factors Associated With Transition From Acute to Chronic Low Back Pain in US Patients Seeking Primary Care. JAMA Netw Open. 2021;4(2):e2037371.
  7. Fregoso G, Wang A, Tseng K, Wang J. Transition from Acute to Chronic Pain: Evaluating Risk for Chronic Postsurgical Pain. Pain Physician. 2019;22(5):479-488.

Che cos’è l’infiammazione?

L’infiammazione è un meccanismo che mette in atto il nostro organismo per difenderci: riconosce e contrasta agenti nocivi e promuove il processo di guarigione. 1
Oltre che da composti nocivi può essere originata da un trauma o da un’infezione. 1

Quali sono i segni tipici?

Esistono cinque segni distintivi che permettono di capire che è in atto un processo infiammatorio in una specifica zona del corpo, e sono i seguenti: 2

  • Calore, causato dall’afflusso di sangue
  • Rossore, anch’esso dovuto al passaggio di sangue, ricco di globuli rossi
  • Gonfiore, generato da un aumento di permeabilità e dilatazione dei vasi sanguigni
  • Dolore, dovuto a un aumento dei mediatori del dolore e all’infiammazione stessa
  • Perdita della funzionalità della zona interessata dall’infiammazione in seguito a dolore e gonfiore.

Perché è utile la risposta infiammatoria?

Lo stato infiammatorio permette all’organismo di rispondere immediatamente agli stimoli nocivi, come ad esempio infezioni e danni ai tessuti, e quindi adattarsi a tali condizioni. Per questo è generalmente benefica, svolgendo una funzione protettiva. 2
Tuttavia, se non viene correttamente regolata, può diventare dannosa. 2

Quali sono i protagonisti dell’infiammazione?

All’interno del processo infiammatorio esistono fasi differenti regolate da induttori, mediatori ed effettori. 2
Gli induttori hanno il ruolo di iniziare il processo in presenza di uno stimolo nocivo. 2
Per farlo, stimolano, con una reazione a cascata, la liberazione di mediatori che possono, a questo punto, indurre dolore, attivare o inibire l’infiammazione e la riparazione del tessuto e, in ultimo, attivare gli effettori, che non sono altro che cellule e tessuti. 2
Sono, quindi, diversi i protagonisti che possono attuare risposte alternative, in relazione al differente tipo di stimolo, al fine di ristabilire l’equilibrio. 2

 

IN PRESENZA DI UNO STIMOLO NOCIVO

Che differenza c’è tra infiammazione acuta e cronica?

A seconda della durata, il processo infiammatorio può assumere una forma acuta, se si scatena immediatamente e tende a durare qualche giorno; una forma cronica che può durare per mesi, se non, addirittura, anni ed una forma subacuta, che rappresenta il periodo di transizione dalla fase acuta a quella cronica e ricopre, di solito, un arco temporale di 2-6 settimane. 2
L’infiammazione cronica può essere il risultato di: 1

  • Incapacità di eliminare l’agente responsabile dell’infiammazione acuta;
  • Esposizione a un basso livello di stimolo nocivo o estraneo, che non riesce ad essere eliminato dall’organismo
  • Disturbo autoimmune che porta l’organismo a riconoscere come estranea una componente dell’organismo stesso e ad attaccarla;
  • Un difetto nelle cellule che regolano il processo infiammatorio;
  • Episodi ricorrenti di infiammazione acuta.

Il dolore come sintomo dell’infiammazione cronica

Tra i sintomi che si sviluppano durante l’infiammazione cronica, c’è il dolore, sia quello localizzato a livello delle articolazioni, sia quello muscolare. 1
Il dolore ha un ruolo vitale per l’organismo: permette di evitare uno stimolo potenzialmente dannoso e attiva la riparazione dei tessuti danneggiati. 3
Il dolore cronico è una condizione che continua, anche nel caso in cui appaiono risolti i segni e i sintomi dell’infiammazione. 3

 

  1. Magni A, et al. Classificazione e inquadramento del paziente con dolore non oncologico. Rivista Società Italiana di Medicina Generale. 2016;5:50-54
  2. Hannoodee S, Nasuruddin DN. Acute Inflammatory Response. In: StatPearls. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; November 21, 2021.
  3. Matsuda M, Huh Y, Ji RR. Roles of inflammation, neurogenic inflammation, and neuroinflammation in pain. J Anesth. 2019;33(1):131-139. doi:10.1007/s00540-018-2579-4

Che cos’è il sistema somatosensoriale?

Si tratta di un sistema in grado di condurre gli impulsi dolorosi lungo le vie del sistema nervoso.1
Per farlo si avvale di cinque passaggi fisiologici:2

 

  1. Trasduzione: permette di convertire gli stimoli dolorosi in attività elettrica, generando impulsi nervosi.
  2. Conduzione: l’impulso nervoso viaggia attraverso i neuroni di primo ordine per raggiungere il sito
    di connessione (la sinapsi) con il neurone di secondo ordine.
  3. Trasmissione: il trasferimento di informazioni tra i neuroni di primo e di secondo ordine avviene nella sinapsi
    ed è reso possibile dal rilascio di sostanze chimiche che si definiscono scientificamente neurotrasmettitori eccitatori e neuropeptidi modulatori.
  4. Percezione: rappresenta l’effettiva esperienza del dolore, che include un aspetto sensoriale (dove si trova,
    quali caratteristiche ha e come viene giudicato) e un aspetto affettivo (quali emozioni evoca). Questo spiega come l’esperienza del dolore non sia una risposta meccanica diretta e proporzionata agli stimoli dolorosi, ma una rielaborazione dello stimolo doloroso, quindi un’esperienza personale.
  5. Modulazione: in cui entrano in gioco molteplici fattori per regolare la risposta allo stimolo.
Elaborazione grafica da Ref. https://www.corsi.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid050447.pdf

Da quali fibre è costituito?

Nel sistema somatosensoriale ritroviamo tre tipi di fibre che fanno percepire diversi tipi di dolore:3

Elaborazione grafica da Ref. http://users.unimi.it/fisibioc/nocicezionen.pdf

Fibre di piccolo calibro nocicettive di tipo C
Tipo di dolore: lento, anche detto secondo dolore.3
Caratteristiche del dolore: sordo, profondo, che brucia come calore.3

Fibre di tipo A-δ
Tipo di dolore: rapido, anche detto primo dolore.3
Caratteristiche del dolore: scarica elettrica, puntura.3

Fibre di calibro maggiore di tipo A-β
Tipo di dolore: il cosiddetto dolore-parestesia.3
Caratteristiche del dolore: formicolio,
avvertito in forma di spilli o di aghi.3

 

Tali fibre sono coinvolte nella trasmissione dell’impulso doloroso dalla regione in cui è avvertito il dolore fino
al midollo spinale.3 Valutare l’integrità del sistema somatosensoriale, ovvero l’integrità di queste fibre,
permette di conoscere la natura del dolore.3

Come fa il medico a valutare l’integrità del sistema somatosensoriale?

Gli strumenti necessari sono:3

 

Una provetta riempita di acqua calda per le fibre C responsabili della percezione termica

Uno spillo per le fibre A-δ responsabili del dolore rapido

Un batuffolo di cotone per valutare le fibre A-β responsabili del tatto e della vibrazione

Se il risultato dei tre test è negativo (ovvero non si presentano alterazioni della sensibilità nelle prove eseguite)
le vie di conduzione sono integre e quindi ci si trova di fronte a un dolore nocicettivo.3

 

Se il risultato è incerto il medico si trova di fronte a una “incongruenza diagnostica”, che richiede esami più approfonditi presso un ambulatorio specialistico.3

 

Se il risultato di questo triplice test è positivo si è di fronte a un dolore neuropatico e può essere necessaria
una visita specialistica.3

 

  1. Magni A, et al. Classificazione e inquadramento del paziente con dolore non oncologico. Rivista Società Italiana di Medicina Generale. 2016;5:50-54
  2. Coluzzi F, Marinangeli F. Basic pain support. Le basi della medicina del dolore. Carocci editore. 2021. ISBN 8874668546
  3. Il dolore cronico in Medicina Generale. Agenas 2013. www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2076_allegato.pdf

Che cos’è il dolore?

Viene definito come «un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata, o simile a quella associata,
a un danno tissutale reale o potenziale» dall’associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP).1
Sempre secondo IASP, per spiegare cosa sia il dolore non ci si deve limitare a questa definizione,
ma occorre prendere in considerazione altri aspetti.1

 

  • Il dolore è sempre un’esperienza personale, il che significa che può influenzare diversamente il nostro corpo (la sfera biologica), la nostra mente (la sfera psicologica) e il modo in cui ci rapportiamo agli altri (la sfera sociale);
  • Il modo in cui percepiamo il dolore è un fenomeno diverso dal dolore stesso.
  • Si impara cosa sia il dolore durante il corso della vita;
  • Chi manifesta e riporta di aver vissuto un’esperienza dolorosa merita rispetto;
  • Sebbene il dolore abbia di solito un ruolo adattativo, permettendo di adattarsi all’ambiente circostante, può avere anche effetti indesiderati sulla funzionalità e sul benessere psicologico e sociale;
  • La descrizione verbale rappresenta una delle diverse modalità di espressione del dolore: chi non è in grado di comunicarlo non significa che non possa viverlo.

Come possiamo classificare il dolore?

Il dolore può essere estremamente variabile in termini di intensità, qualità e durata e può avere diversi
meccanismi e significati.1

Tipologie di dolore in base all’ORIGINE

In base al meccanismo che dà origine al dolore, dal punto di vista medico esiste una classificazione definita patogenetica che distingue tre diversi tipi di dolore: nocicettivo, neuropatico e nociplastico.2

 

  • Il dolore nocicettivo è dovuto all’infiammazione o a un danno di una specifica parte del corpo.2
    In tale regione, gli stimoli attivano i recettori del dolore, che segnalano il danno e indicano la posizione in cui è avvertito. Può avere un’origine superficiale o profonda.2
    Esempi classici: osteoartrosi, artrite reumatoide, dolore da cancro.2
  • Il dolore neuropatico è causato da una lesione o malattia del sistema nervoso somatosensoriale
    (ovvero il sistema coinvolto nella trasmissione degli impulsi dolorosi3 ) centrale e/o periferico.2
    Si distingue in periferico e centrale, in base alla sede della lesione.2
    Esempi classici: dolore da neuropatia diabetica, nevralgia post-herpetica.2
  • Il dolore nociplastico è caratterizzato da un disturbo nell’elaborazione del dolore che provoca sintomi dolorosi non precisamente localizzabili.2

Nel 2016 IASP lo ha definito come “un dolore che non mostra nessuna chiara evidenza di danno effettivo
o potenziale o di malattia o lesione del sistema somatosensoriale nocicettivo”.2 Esempi classici: fibromialgia, sindome del colon irritabile, disfunzione temporomandibolare, cefalea muscolo-tensiva.2

Tipologie di dolore in base all’INTENSITÀ

L’intensità rappresenta un parametro fondamentale per una corretta valutazione del dolore.3
A questo fine, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito una scala graduata di classificazione del dolore in base all’intensità nota con la sigla NRS: Numerical Rating Scale3

Inoltre, per rendere più completa la misurazione del dolore e il suo impatto sulla vita di chi ne soffre è utile misurare: 3

 

  • la tollerabilità: molto tollerabile, tollerabile, poco tollerabile, insopportabile
  • i problemi a svolgere le attività quotidiane: nessuno, pochi, qualche volta, molti, da non riuscire a fare niente

Tipologie di dolore in base alla DURATA

Il dolore acuto è un dolore di breve durata che corrisponde a un danno tissutale: è finalizzato ad allertare il corpo sulla presenza di stimoli pericolosi o potenzialmente tali nell’ambiente e nell’organismo stesso.
Si esaurisce quando cessa l’applicazione dello stimolo o si ripara il danno che l’ha prodotto.3

 

Il dolore persistente è un dolore dovuto alla permanenza o alla ricorrenza dello stimolo doloroso.
Questo tipo di dolore conserva le caratteristiche del dolore acuto e va distinto dal dolore cronico.3

 

Il dolore cronico è un dolore che persiste per più di 3 mesi e/o si mantiene nonostante la guarigione della causa
che l’ha scatenato. Con il termine dolore cronico vengono definiti quei casi in cui, dopo una lesione o malattia iniziale, si generano alterazioni biologiche, psicologiche e sociali che rendono complessa l’identificazione della causa iniziale.
Il dolore non è più solo un sintomo, ma diventa “malattia”.3

 

La probabilità che il dolore acuto si trasformi in dolore cronico varia da persona a persona. È di fondamentale importanza gestire adeguatamente il dolore nella fase acuta per evitare che cronicizzi. L’identificazione precoce consente di intervenire tempestivamente.4

 

  1. Raja SN, Carr DB, Cohen M, et al. The revised International Association for the Study of Pain definition of pain: concepts, challenges, and compromises. Pain. 2020;161(9):1976-1982.
  2. Coluzzi F, Marinangeli F. Basic pain support. Le basi della medicina del dolore. Carocci editore. 2021. ISBN 8874668546
  3. Magni A, et al. Classificazione e inquadramento del paziente con dolore non oncologico. Rivista Società Italiana di Medicina Generale. 2016;5:50-54
  4. Australian Acute Musculoskeletal Pain Guidelines group. Evidence-based management of acute musculoskeletal pain. 2003
    https://www.cdha.nshealth.ca/system/files/sites/122/documents/based-management-acute-musculoskeletal-pain.pdf

Anche una cicatrice può far male. In alcuni casi è un dolore solo fisico, in altri è legato a ricordi da dimenticare. La Dott.ssa Fulvia Gariboldi, fisiatra, ci spiega come approcciarsi di fronte a questa particolare problematica e quali sono le terapie a disposizione.

Il tratto cervicale e il tratto lombare sono le due sedi della colonna vertebrale di maggior movimento e, di conseguenza, più sottoposte a insorgenza di dolore. La fisiatra Fulvia Gariboldi ci spiega come ci si pone davanti ad un paziente che presenta questi sintomi e quali sono le terapie che possono essere intraprese per alleviare il dolore.