Il dolore cronico stravolge il nostro modo di vivere. Possiamo subirlo, giudicandolo e cercando di accettare ciò che ci accade, oppure possiamo usare il potere che abbiamo sul nostro tempo e sulla nostra vita, per dare un nuovo significato a quello che siamo e a quello che facciamo.
Il dolore non è buono o cattivo. Semplicemente c’è. È vero, ha trasformato il nostro modo di vivere la quotidianità e ha cambiato il modo in cui gestiamo il tempo delle nostre giornate. E, a volte, ci fa provare la spiacevole sensazione di non avere più il controllo sulla nostra vita. Ma è anche vero che siamo noi ad avere il potere di dare un senso alle cose e al nostro tempo.
La differenza tra subire il dolore e scegliere come gestire ciò che ci accade, si trova tutta in un unico principio che dobbiamo sempre ricordare: non è quello che ci capita a definire chi siamo, ma siamo noi ad attribuire significato e valore alle cose. Vivere una situazione di dolore permanente non è semplice ma non rappresentare la fine di ciò che siamo. Perché? Perché la nostra vita è cambiata e il tempo delle nostre giornate è scandito da questo cambiamento. Se impariamo a riconoscere che il tempo è un assegno in bianco che ci viene consegnato la mattina e scade la sera, e se teniamo ben presente che siamo noi che gli attribuiamo qualità, allora possiamo riprendercelo e possiamo attribuirgli un nuovo valore. All’interno di questo tempo possiamo decidere di ritagliarci uno spazio tutto nostro, compatibile col nostro modo di convivere con il dolore, per realizzare un piccolo o un grande progetto che ci aiuti a riprenderci il controllo sulla nostra vita e che ci restituisca il potere di decidere come viverla.
BIBLIOGRAFIA
- Giorgio Nardone, Problem solving strategico in tasca. L’arte di trovare soluzioni a problemi irrisolvibili; ed Feltrinelli; ed 2009
- Matteo Motterlini, Trappole mentali; Ed Rizzoli; ed 2008
- Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva, cos’è e perché può renderci felici; ed: Rizzoli; ed 1995