Gentilissimi,

in molte vostre domande sono emersi due aspetti fortemente collegati tra loro: il pensiero fisso, quasi ossessivo, sul dolore (“non riesco a pensare ad altro”), e la paura ricorrente del non sapere “cosa è giusto fare e cosa è meglio non fare”.

Chi soffre di dolore cronico ha spesso il pensiero focalizzato su esso. Infatti, la preoccupazione esiste non solo quando il dolore è fisicamente avvertito, ma anche in sua assenza, nell’attesa/timore che si possa ripresentare. Si hanno continui dubbi che ogni azione quotidiana possa peggiorare lo stato fisico: “come posso piegarmi? posso camminare? è il modo giusto di mettere la gamba/il braccio? la postura è corretta? ho forse esagerato? dovrei fare di più?…”

Questi pensieri, che tra l’altro possono aumentare lo stato ansioso, peggiorando quindi la percezione dolorifica (cfr. articolo 1), creano chiaramente un grande sconforto. Più sono presenti, più si ha la percezione di “non avere in mano la propria vita”, quasi come se si perdesse la propria identità.

Come si può prevenire o evitare questi pensieri? Innanzitutto, è importante sapere che non si può decidere di “non pensare”. Se noi pensiamo “non devo pensarci”, in realtà, rafforziamo di più quella determinata idea, incrementando quindi il senso di frustrazione. Quindi cosa si deve fare?

1) Avere una conoscenza del dolore, quindi chiedere con chiarezza al medico curante quali sono i movimenti da evitare. Non si deve mai avere paura di fare qualche domanda in più.

2) Focalizzare il pensiero su “ciò che possiamo fare”, invece che “su cosa non siamo più in grado di fare”, cioè individuare le cosiddette capacità residue. È utile infatti attuare tutti quei comportamenti che non peggiorano la situazione clinica e che parallelamente non ci fanno chiudere in noi stessi; il dolore (e la paura del dolore) talvolta fa attuare dei comportamenti ben più limitanti di quanto il sintomo imporrebbe. Questo modo di agire, attraverso un circolo vizioso, genera isolamento, autosvalutazione e addirittura sintomi depressivi.

3) Conoscere e accettare i propri limiti. Se si ha la tendenza all’iperattività, è utile organizzare la propria giornata in maniera dettagliata. È fondamentale usare le energie in modo adeguato e saper ascoltare il proprio corpo. Se invece si ha la tendenza alla chiusura, e alla scarsa attività fisica, vale la pena programmare la giornata dandosi dei piccoli compiti, cercando di rimanere attivi.

Pertanto, l’obiettivo è evitare di identificarsi con il dolore. Il pensare “io non sono il mio dolore” è punto importantissimo. Bisogna infatti comprendere che il dolore esiste, ma è solo una parte di sé. È fondamentale lavorare sulle capacità residue e potenziarle, solo così ci si potrà dare l’opportunità di individuare nuove e inaspettate risorse.

 

Niente nella vita deve essere temuto, deve solo essere capito. Adesso è il tempo di capire di più, così che possiamo temere di meno. 

Marie Curie

 

BIBLIOGRAFIA

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  • Leadley RM(1), Armstrong N, Reid KJ, Allen A, Misso KV, Kleijnen J Healthy aging in relation to chronic pain and quality of life in Europe. Pain Pract. 2014 Jul;14(6):547-58.
  • Khouzù RH. Chronic pain and its management in primary care. South Bed J 2000; 93:946-52
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